Carattere reazionario dell’antirazzismo

L’antirazzismo è un’ideologia relativamente recente sorta con l’esplosione dell’immigrazione nei paesi occidentali a partire dagli anni ‘80. Esso in parte ricalca lo schema destra-sinistra, quali categorie manipolatorie del finto dibattito “democratico”. Chi di destra è contro l’immigrazione, chi è di sinistra è invece a favore. Tali schemi basati su coppie contrapposte, come la finta opposizione destra/sinistra, servono per fissare delle carreggiate prestabilite che impediscono qualsiasi discussione razionale sull’immigrazione. È assurdo considerare l’immigrazione come un fatto positivo o negativo in sé. In un certo contesto, ad esempio, in una fase di espansione economica, può essere un fattore di maggiore integrazione e intreccio fra popolazioni e culture diverse (ma per l’appropriazione di forza lavoro provenienti da altri paesi, per la cui formazione non si sostenuto nessun costo, come sosteneva giustamente Paolo Cinanni, sarebbe dovuto un indennizzo), in una fase di crisi economica, invece, può provocare, prevedibilmente, aspri conflitti con la popolazione locale.

La sconfitta del comunismo ha condotto non alla correzione degli errori e punti deboli e alla elaborazione del metodo di analisi sociale marxiano, ma all’abbandono dell’analisi strutturale, il suo punto forte, verso una deriva eticistica di cui l’antirazzismo è una delle principali espressioni. L’antirazzismo non utilizza affatto categorie marxiane che potrebbero essere molto utili per l’analisi delle dinamiche sociali legate all’immigrazione, quali la funzione dell’ “esercito industriale di riserva” o il meccanismo della competizione tra lavoratori che per l’antirazzismo neanche esiste. L’antirazzismo è soprattutto condanna del “razzismo”, e quindi del “razzista”, rispetto al quale l’antirazzista si ritiene moralmente superiore. L’antirazzismo vorrebbe sanzionare la superiorità morale dei settori “istruiti” (in realtà con una cultura molto superficiale) e scolarizzati rispetto alle classi inferiori “piene di pregiudizi”. In questo senso è un’ideologia che segna un rapporto di classe.

Come al solito tanta bontà, tanta vantata superiorità morale nascondono inconfessabili interessi egoistici. L’ideologia dell’antirazzismo è sostenuta soprattutto da quei settori “di sinistra”, provenienti dalle classi inferiori, che hanno potuto acquisire un’istruzione superiore in seguito alla scolarizzazione di massa post-’68. Purtroppo a tale scolarizzazione non ha corrisposto una trasformazione della struttura sociale che concedesse spazio alla mobilità sociale di questi settori. Si è risposto a tale richiesta di mobilità sociale attraverso l’espansione abnorme degli impieghi statali, creando in questi ambiti delle “occupazioni” semiparassitarie. La scolarizzazione di massa ha creato ampi settori giovanili non più disposti ai lavori a cui erano destinate le “classi inferiori”, creando un ampio spazio nell’ambito dei “lavori che gli italiani non vogliono più fare”. L’antirazzismo, con il suo disprezzo implicito delle classi inferiori, è in realtà l’oscura cognizione che per mantenere uno spazio “in alto”, cioè nei settori impiegatizi o nell’ambito dello spettacolo, è necessario, “in basso” l’apporto del lavoro immigrato per svolgere quei lavori “umili”, ma necessari al funzionamento della società. Tali settori nonostante l’ideologia “di sinistra” sono in realtà partecipi di un notevole disprezzo verso i lavori di carattere manuale. Tale mentalità si incontra con il desiderio del Capitale di aumentare i profitti attraverso la riduzione del costo del lavoro, immettendo lavoratori costretti a lavorare più a lungo per paghe inferiori. Ecco perché razzismo e antirazzismo sono i due poli antetici del discorso delle classi dominanti riguardo all’immigrazione.

Chi scrive proviene dai settori suddetti, però ritiene di essersi reso conto che si è intrapresa una strada profondamente sbagliata. Non è uno spettacolo edificante quello che si sta nettamente delineando, di una società con uno strato inferiore semischiavizzato che fa “i lavori che gli italiani non vogliono fare” e uno strato medio-basso ampiamente parassitario, con i problemi psichici soliti di chi non ha una funzione socialmente utile. Ecco perché ritengo che l’antirazzismo, al di là delle buone intenzioni sbandierate, stia giocando un ruolo sostanzialmente regressivo e reazionario

Tanto più che tale modello con la crisi economica è entrato in crisi e i settori popolari inviano segnali di sempre maggiore insofferenza. Non è possibile continuare su queste strada, bisogna imboccarne una completamente diversa. Si dovrebbe rilanciare una battaglia per promuovere un effettivo progresso sociale, innanzitutto ridando dignità al lavoro di ogni tipo. Bisognerebbe, inoltre nel settore della produzione sociale, riprendere la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro, poiché non serve aumentare lo sfruttamento, attraverso l’aumento della durata e intensità del lavoro, del singolo lavoratore, se poi si è costretti a restituire una buona quota dei profitti per finanziare l’ipertrofia degli impieghi nella “pubblica amministrazione”, pena il rischio di una grave crisi sociale. Per quanto riguarda il settore della riproduzione sociale, si deve infine prendere atto che la famiglia allargata appartenente alle società prevalentamente contadine è definitivamente tramontata e che la “famiglia nucleare” moderna non ha le possibilità materiali e morali di garantire la stessa cura dei bambini e degli anziani per cui è necessario l’intervento effettivo, reale e massiccio, non puramente palliativo come adesso, della collettività.

Possiamo anche chiamarla società “multiculturale”, ma una società con ampi strati di lavoratori immigrati in condizione servile, è una società reazionaria. È necessario invece promuovere la piena integrazione degli immigrati che hanno già trovato una collocazione nella società italiana, per il resto, non è auspicabile né una completa chiusura né l’immigrazione incontrollata. L’immigrazione è un fenomeno sociale, non è un fenomeno naturale, essa va pianificata, disponendo le strutture adatte che rendano possibile l’integrazione della quota degli immigrati che si decide di accogliere, stabilita in base alle richiesta lavorativa effettiva e a parità di trattamento con i lavoratori già residenti, ma allo stesso tempo respingendo, con metodi umani e senza propositi punitivi, l’immigrazione clandestina. Bisogna farla finita con il lavoro di “badante”, che ha riempito il vuoto lasciata dalla demolizione dello stato sociale, in quanto costituisce, attraverso la reintroduzione del lavoro servile domestico, una grave regressione sociale, dirottando risorse e uomini dai settori ipertrofici dell’impiego statale, e dei vari lavori precarizzati, finanziati sempre con soldi pubblici, che funzionano da tampone, ma non risolvono nulla, verso i lavori “socialmente utili”, nel vero senso della parola, della cura dei bambini, degli anziani e delle persone inabili, che adesso ricadono sulle famiglie e particolarmente in Italia, sulle donne, creando condizioni frequentemente insostenibili.

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